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Disabilità e diversità in letteratura, utilizzazione educativo-didattica di "Rosso Malpelo"

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view post Posted on 19/4/2009, 17:12
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A proposito di classici italiani, tanto bistrattati, ecco qui una mia relazione, scritta frettolosamente lo scorso anno (durante il corso di formazione per docenti neo-assunti in ruolo, quindi letteralmente di corsa), sull'utilizzazione didattica della novella "Rosso Malpelo" di Verga:

DISABILITA’ E DIVERSITA’ IN LETTERATURA:
La forza di “Ranocchio” e la fragilità di ”Malpelo”


La disabilità, e più in generale la diversità, costituiscono spesso, ancora oggi, un problema di mancata accettazione e valorizzazione da parte della nostra società, e quindi anche all’interno delle nostre scuole. Se infatti appare ormai definitivamente superata la visione negativa o meramente pietistica della disabilità motoria, è innegabile invece che l’handicap di tipo mentale costituisca ancora oggi una ragione di emarginazione che affonda le sue radici in una cultura che fa dello svantaggio cognitivo un’occasione di scherno, specialmente da parte dei soggetti più giovani, e quindi meno attrezzati culturalmente o, peggio, condizionati da un contesto familiare che vede nel compagno “ritardato” o “caratterialmente difficile” solo un motivo di rallentamento nello svolgimento dei programmi e quindi, in definitiva, un problema per la classe, anziché un’occasione di confronto e di crescita per tutti.

Nell’ottica di una necessità di contrapporre al mero pregiudizio una visione “diversa” del “diverso”, io ho trovato particolarmente interessante e proficua l’utilizzazione didattica della novella “Rosso Malpelo” di Verga, la cui lettura e analisi sono state da me proposte lo scorso anno, in una terza media, con i seguenti obiettivi specifici (a parte quelli, generici e meramente didattici, di comprensione e analisi di un testo narrativo):

1. conoscere la realtà di sfruttamento e di miseria della povera gente in Sicilia dopo l’unità d’Italia;
2. analizzare il ritratto verghiano, di grande attualità, di Malpelo, un adolescente condannato dai pregiudizi e dalla violenza sociale all’emarginazione e ad una tragica fine;
3. analizzare la figura di Ranocchio, un ragazzino costretto dalla propria disabilità ad un lavoro infame, oltre che a subire ogni tipo di violenza da parte di Malpelo, eppure capace di risultare “vincente” proprio in virtù della sua forza d’animo, a dispetto della debolezza fisica.

La lettura della novella ha richiesto ben tre lezioni, per un totale di circa cinque ore di attività, dal momento che ogni sua parte è stata accompagnata dalla costante discussione in classe di tutti gli elementi utili alla riflessione per il raggiungimento degli obiettivi sopra esposti. In questa sede mi soffermerò, naturalmente, sugli obiettivi 2 e 3, essendo il primo un obiettivo di conoscenza storico-sociale, non inerente quindi alla tematica proposta da questa attività, che tende all’individuazione di elementi “universalizzabili” e quindi indipendenti dal preciso contesto storico di riferimento.

Il ritratto di Malpelo è quello di un ragazzo discriminato da tutti per la sua diversità, ovvero per il colore rosso dei suoi capelli che, secondo la superstizione popolare, è un segno di cattiveria. Si tratta di un ragazzo che non ha mai ricevuto amore nemmeno dalla madre e dalla sorella, essendo «un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vederselo davanti, e che tutti schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano coi piedi, allorché se lo trovavano a tiro». Verga descrive Malpelo utilizzando il punto di vista soggettivo della società che lo circonda e che lo vede come «un ragazzo malizioso e cattivo», «un brutto ceffo, torvo, ringhioso e selvatico» che, lavorando alla cava, a mezzogiorno va a «rosicchiarsi quel po’ di pane bigio come fanno le bestie sue pari». A causa di questa visione che di lui hanno tutti, Malpelo viene trattato costantemente a pedate: «Ei c’ingrassava, fra i calci, e si lasciava caricare meglio dell’asino grigio, senza osar di lagnarsi». È evidente, nelle parole usate da Verga, il costante confronto tra il ragazzo e una bestia destinata a subire percosse fino alla morte.
D’altra parte Malpelo stesso, educato da sempre alla violenza, non risparmia alcuna crudeltà nei confronti di qualsiasi creatura si trovi nella condizione di subire da lui le stesse violenze che gli altri gli hanno costantemente praticato. Particolarmente significative sono, a questo riguardo, le parole che egli usa per spiegare a Ranocchio che «l’asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e s’ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi», secondo una logica dei rapporti concepiti unicamente come violenza praticata o subita.

Nel quadro di questa logica della sopraffazione, va inserito il rapporto tra Malpelo e Ranocchio. Di quest’ultimo Verga dice che era «un ragazzetto, venuto a lavorare da poco tempo nella cava, il quale per una caduta da un ponte s’era lussato il femore, e non poteva far più il manovale. Il poveretto, quando portava il suo corbello di rena in spalla, arrancava in modo che gli avevano messo nome di Ranocchio». In questo ragazzino, Malpelo vede l’occasione di un rapporto in cui, per una volta, egli stia “al comando”: infatti Verga dice che «per un raffinamento di malignità» egli aveva cominciato a proteggerlo. A Ranocchio, Malpelo cerca, senza tuttavia riuscirci, di insegnare la legge della violenza e della sopraffazione, picchiandolo «senza un motivo e senza misericordia», rimproverandolo e chiamandolo «bestia» per la sua incapacità di difendersi, nella speranza che egli impari, prima o poi, a reagire con la stessa violenza che subisce: «Così come ti cuocerà il dolore delle busse, imparerai a darne anche tu!», utilizzando esattamente lo stesso atteggiamento che adoperava nei confronti dell’asino.
Malpelo quindi definisce «bestia» Ranocchio, usando lo stesso termine che costituiva il soprannome del proprio padre, «mastro Misciu Bestia», ovvero l’unica persona che abbia mai voluto bene a Malpelo e di cui il ragazzo conserva quindi un ricordo dolcissimo. E la figura positiva di quell’uomo, morto nella cava dopo una vita spesa a subire ogni tipo di sopraffazione senza mai alcun cenno di ribellione, aleggia come un “fantasma buono” su tutta la narrazione, a indicare la strada giusta, e tuttavia all’apparenza perdente, in un simile contesto. Anche Ranocchio è, in quest’ottica, una «bestia»: egli infatti non risponde mai alla violenza tentando di praticare altrettanta violenza su chi è più debole di lui (l’asino, ad esempio), non reagisce alle ingiustizie con altrettante ingiustizie, ribellandosi così allo schema di Malpelo (che in realtà non è affatto un ribelle, dal momento che si uniforma in modo totale alla logica dominante). Infatti, quando quest’ultimo viene accusato e castigato dal padrone per qualcosa che non ha commesso, Ranocchio lo scongiura di dire la verità e di discolparsi, mentre Malpelo dice che ciò non servirebbe a nulla, essendo lui, appunto, «malpelo» (volutamente minuscolo, a indicare una ineluttabile categoria sociale).
Nella novella Ranocchio, pur nella sua disabilità fisica, è senz’altro il personaggio sano e positivo, come dimostra anche il suo atteggiamento di rifiuto, quando Malpelo lo costringe alle ripetute e macabre visite al «carcame del(l’asino) grigio in fondo al burrone», durante le quali Malpelo gli spiega come l’asino, che ha tanto sofferto in vita, adesso sia del tutto sereno, nonostante i cani se ne cibino avidamente, concludendo la “lezione” con parole che non lasciano alcuno spazio alla speranza: “Ma se non fosse mai nato sarebbe stato meglio”.

Alla visione disperata di Malpelo, Ranocchio oppone il “suo” cielo e le “sue” stelle: lui che, prima dell’incidente, ha lavorato «sui tetti come i gatti», non ama le civette, né i topi o i pipistrelli, ma crede appunto nel cielo, nelle stelle e nel paradiso «dove vanno i morti che sono stati buoni», come gli ha insegnato la sua mamma. E, in effetti, la mamma di Ranocchio è colei che fa la differenza tra lui e Malpelo: quest’ultimo, infatti, abituato ad una madre che lo ha sempre visto unicamente come qualcosa di cui vergognarsi e da tenere appunto sottoterra, nella cava (e tuttavia da sfruttare per quei pochi soldi che porta a casa), si stupisce molto del fatto che, quando Ranocchio si ammala di tubercolosi, «sua madre piangeva e si disperava come se il figliolo fosse di quelli che guadagnano dieci lire la settimana». Dinanzi a questa stupefacente realtà, Malpelo alla fine si dà una spiegazione che naturalmente gli serve ad ingannare se stesso: la mamma di Ranocchio piange e strilla a quel modo perché suo figlio è sempre stato debole e malaticcio, mentre sua madre non ha mai pianto per lui perché un «malpelo» non può che essere forte e indistruttibile, e perciò sua madre «non aveva mai avuto timore di perderlo».
Ma la madre di Malpelo, in realtà, non ha mai nutrito alcun affetto per il figlio e, una volta risposatasi, si trasferisce in un altro paese, «colla figliuola maritata», e sparisce dalla vita del ragazzo, il quale, non avendo nessuno che tenga minimamente a lui, viene mandato dal padrone della cava ad esplorare un passaggio dove c’era un enorme rischio di smarrirsi e dove quindi nessuno si sarebbe mai avventurato. «Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi».

È evidente che il personaggio positivo di Ranocchio risulterebbe incomprensibile se non venisse inquadrato nel contesto generale della novella, e soprattutto se non si tenesse conto del suo rapporto (e del confronto) con la figura, tanto diversa, del protagonista Malpelo, didatticamente molto utile per affrontare il tema del disagio giovanile. Laddove, infatti, Malpelo rappresenta, pur nella sua apparente forza e nella sua cattiveria, il volto fragile della diversità che reagisce alla crudeltà subita con altrettanta crudeltà praticata, e soprattutto con il buio di un assoluto pessimismo che non lascia spazio alcuno alla luce della speranza, al contrario Ranocchio, pur nella sua assoluta debolezza fisica, è il vero “vincente” del racconto. Egli infatti non permette alla violenza che lo circonda, di penetrare dentro di lui e di generare quindi altra violenza. Al contrario, riesce a mantenere la forza necessaria per impedire al male di cambiarlo, di sporcarlo e di renderlo cattivo, ingiusto e violento come coloro che gli fanno del male. Egli non lascia che il buio invada il “suo” cielo fino a coprire la luce delle stelle… e riesce, nonostante tutto, a credere comunque in un paradiso di giustizia dove vanno gli uomini che sono stati buoni, laddove Malpelo, invece, che ha sempre visto prevalere la prepotenza e il cinismo, ha fatto dell’immagine buona di suo padre, l’emblema della sconfitta di ogni forma di giustizia.

Sebbene, come detto all’inizio di questa relazione, la disabilità fisica sia oggi una “barriera” che possiamo considerare sostanzialmente superata, nel senso che l’attuale cultura in cui viviamo si è ormai liberata da tempo dall’atteggiamento negativo nei confronti di chi ha delle difficoltà motorie, il personaggio di Ranocchio può comunque essere ancora oggi un esempio di forza nascosta nella debolezza, che può aiutare i ragazzi, ma anche gli adulti, allo sviluppo di una percezione “diversa” della fragilità fisica (e, attraverso un ulteriore percorso di letture, anche di quella mentale), soprattutto se alla forza poetica del bambino malato si contrappone la sfiducia distruttiva e l’immensa fragilità interiore di Malpelo.
 
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view post Posted on 27/2/2013, 17:30
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Ho notato che questo topic viene visualizzato spesso.
In questo momento, ad esempio, c'è una visita proveniente da skuola.net.

Bene, se il poco che ho scritto in questa sezione può essere utile a qualche visitatore esterno al solito "giro" di forum, vorrà dire che me ne occuperò di più.
 
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